lunedì 19 ottobre 2009
Com'erano le abitazioni di una volta a Isolabona
Conoscere la storia e le usanze di Isolabona è lo scopo per cui ho deciso di aprire questo blog.
Raccontare gli usi e i costumi di questo popolo è per me il modo migliore per capire meglio il luogo in cui vivo.
Oggi leggendo dei documenti che parlano della nostra storia, ho trovato qualcosa di molto interessante, la descrizione di una casa tipica.
Cosa meglio della quotidianità ci fa capire di più?
Il periodo a cui si riferisce l'articolo arriva fino primi decenni del XX, per molte abitudini anche oltre, cioè finché, prima la luce e poi l'acqua non hanno migliorato la qualità della vita.
A cura di Maria Luisa Saettone e Marino Cassini
[...]
Isolabona, come molti altri borghi della valle, si presenta come un agglomerato di case organizzate a difesa reciproca ed ha una semplicità primitiva. Sorse alla base di una collina nel punto in cui si congiungono i due torrenti Nervia e Merdanzo. Nella parte superiore i Doria costruirono il castello, mentre i lati del paese, a nord e a sud, erano formati dai muri massicci delle abitazioni, costruite senza interruzione di continuità, e nei quali non vi era alcuna apertura al di sotto dei dieci metri. Le uniche due vie d’accesso al paese erano difese a est dal Castello e ad ovest da uno sperone roccioso, sotto il quale scorre il Nervia, collegato all'altra sponda da un ponte a schiena d'asino (distrutto nell'ultima guerra e poi ricostruito).
Il paese racchiuso in questa cinta muraria, rimasto immutato nel tempo, presenta un brulichìo di rampe, di saliscendi, di stretti carruggi le cui opposte facciate delle case sono a volte unite da archetti in muratura, con funzione antisismica, a volte da una vera e propria grotta su cui è costruita un’altra abitazione. Era il bisogno di difesa che faceva sorgere simili costruzioni.
Del Castello, una costruzione a se stante, sono rimaste solo le mura perimetrali, le quali non permettono di capire quale potesse essere l'architettura interna. Per coloro che volessero farsene una idea, si rimanda alla accurata descrizione che lo storiografo G. Rossi ci ha fornito del Castello dei Doria di Dolceacqua.
Le case del nucleo storico Isolabona si presentano quasi tutte strutturate in un modo particolare.
Normalmente la casa da abitazione è composta da 4/5 vani, quasi sempre sovrapposti su 2/3 piani. E' costruita in pietra e calce, con spessi muri perimetrali (50/70 cm e anche più). I soffitti sono a volta. Le finestre sono piuttosto piccole e non rispettano quasi mai una regolare simmetria edilizia esterna. Al piano terra si trovano uno o più locali adibiti a stalla o deposito per foraggi, prodotti della terra e attrezzi agricoli oppure a cantina. Le porte, non sempre munite di serratura, venivano un tempo chiuse dalla tartavala, un piolo di legno dentellato, situato orizzontalmente dietro la porta, a mezza altezza, che veniva azionato dall'esterno per mezzo di un ferro uncinato.
Si accede al primo piano mediante una scala in muratura, con scalini in ardesia. La prima rampa è quasi sempre esterna e un piccolo ballatoio forma l'ingresso della casa. Il vuoto formato sotto la scala esterna e sotto il ballatoio dava origine ad un minuscolo vano chiamato stagetu, destinato al deposito di legna o attrezzi.
La cucina era generalmente al primo piano e in un muro perimetrale stava il camino dal quale pendeva una catena per agganciare marmitte, padelloni, in particolar modo quelli per cuocere le castagne. Di fronte ad esso stava un banco in muratura su cui era appoggiata la seglia (secchia per l'acqua) e in cui era ricavato un pozzetto per la lavatura quotidiana delle stoviglie. In un angolo, bene in vista, stava u bancää, un mobile a metà fra la cassapanca e la madia. In ogni cucina non mancavano mai i lumi a olio di caratteristica fattura, le lucerne, le batterie di rame, il mortaio ecc. Tra gli strumenti del buon tempo antico è da notare vicino agli alari u sciüscietu, il soffietto, formato da un lungo tubo di ferro in cui si soffiava per alimentare le braci.
Le stanze superiori avevano un aspetto comune: letti in legno con sacconi pieni di foglie di granoturco, seggiole impagliate, un lume con a fianco esca e acciarino, a banchetta (sgabello). In certe camere, sopra il letto, venivano poste della canne a forma di pergolato le quali servivano per sostenere grappoli d'uva cui si lasciava un lungo tralcio per appenderli, mele e pere legate per il picciolo, tutta frutta da consumare nei mesi invernali.
Il solaio serviva quale deposito per la legna, per patate, per le castagne. Il tetto era ricoperto da coppi o tegole o lastroni di pietra disposti a embrice.
Il solaio fungeva pure da luogo igienico e ospitava tre oggetti che non mancavano in nessuna famiglia: a benengeia, u segliun e a barii. La prima consisteva in un capiente vaso di terracotta smaltata, con maniglie ai lati e aveva la forma del cappello che i medici immortalati da Moliére erano soliti portare. Era sistemato sotto un asse trasversale, una specie di seggetto con un ampio foro al centro. In esso tutti i componenti della famiglia depositavano il "soverchio pondo del corpo" e, quando la benengeia era colma, il liquame veniva con cura travasato nella barii , un barilotto di legno della capienza di 20/30 litri che poi, accuratamente tappato con un turacciolo di legno, veniva avvolto in un telo di juta, u curauu, e portato negli orti o negli uliveti dove veniva utilizzato come ottimo concime.
Per le campagne oltre ai terüssi di cui già si è detto, vi erano pure i casui (metati) che tra l’altro servivano per l’essiccazione delle castagne. Erano costituiti da quattro muri perimetrali alzati a secco, con due finestre, una porta e il tetto senza soffitto. Il pavimento era in terra battuta. Servivano per riparo e anche per deposito di concime. Uno dei pochi mobili presenti era il boregu, consistente in una sezione di un tronco d'albero, alta dai 60 ai 70 centimetri, nella cui parte superiore veniva praticato un incavo profondo 30/40 cm. Serviva per depositarvi il cibo. Sull'incavo veniva posta una lastra d'ardesia che fungeva da coperchio e al tempo stesso da desco.[...]
Roberta per non dimenticare.
13 commenti:
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Interessante questo spaccato locale di vita popolare, hai fatto bene a mostrarlo.
RispondiEliminaNon ho capito però a quali anni si riferisce... andrò a rileggermi il post.
Buona serata,
Rino, distratto.
Leggendo questo post, mi convinco sempre di più che si viveva molto meglio di oggi. Si e vero che non avevano le medicine di oggi e la tecnologia che ci aiuta ma sono fortemente convinta che vivevano meglio. Buona vita, Viviana
RispondiElimina@gaspare hai perfettamente ragione, mi sono dimenticata di scrivere il periodo di riferimento...quanto devo imparare ancora!
RispondiEliminaHo fatto la modifica al post...
un caro saluto;))
Cara Roberta,
RispondiEliminaanche questo post è molto interessante, così come l'articolo che mi hai inviato: complimenti!!!
leggo sempre con interesse i tuoi post,cara Roberta...e poi spontaneamente faccio il confronto con la storia della campagna veneta...sempre scopro delle somiglianze.
RispondiEliminaBuonanotte.
non bisogna mai dimenticare...
RispondiEliminabuona giornata! da me c'è il sole ma fa un freddo tremendo... ^____________^
Roberta non c'erano serrature, né porte blindate...quindi nessuna paura dei ladri e di altro ancora.
RispondiEliminaSi viveva rilassati senza stress, che nel mondo moderno miete vittime...
E' bello e fa bene ricordare...
Buona giornata!
Leggerti cara Roberta, è sempre più affascinante..meno male che ci sono persone come te che con le tue storie vere ci porti a confrontarci con la vita odierna.
RispondiEliminaHa ragione Viviana, che si viveva meglio prima, una vita a misura d'uomo.
Grazie..la tua isola, sta diventado un po anche nostra.
Bacio.
PS i tuoi semi sono diventati delle foglioline, sto aspettando ancora per farteli vedere...perchè joan wien dice che non andrà avanti...ma io dico di si.
è rimasta qualche casa così?
RispondiEliminaè troppo bello vedere le case, parlano piùù di altre cose...vibrano di storie
un bacione
@Lo, purtroppo non ne sono rimaste in alcuni borghi sono state ricreate come fossero un museo...a Mendatica so che è stato fatto.
RispondiEliminaun caro saluto;))
Maria Luisa che è una cara amica scrisse queste note, se non vado errato, per la sua tesi di laurea. Ha subito recentemente un serio intervento chirurgico. Le ho fatto gli auguri di buona guarigione e glieli faccio anche da qui.
RispondiElimina@alberto, è proprio così, è una parte della tesi di Maria Luisa, datata 1957, le auguro anch'io di riprendersi al più presto.
RispondiEliminaMi piacciono le storie della vita popolare, riescono a farci comprendere il passato e allo stesso tempo sono un grande insegnamento per il futuro. Guai a quel popolo che non ha memoria.
RispondiEliminaUn abbraccio. Vale