Quest'oggi ho ricevuto una mail da parte di Marino Cassini, in allegato ho trovato una storia inedita intitolata "La caduta di un re" scritta questa estate durante la sua vacanza a Isolabona, mi reputo fortunata perchè ho il piacere di ricevere questa breve storia in dono per farne l'uso più appropriato.
Essendo una blogger il cui blog tratta delle tradizioni e della storia di Isolabona, non posso far altro che pubblicarla anche perchè, Marino Cassini, la pensa proprio come me...
Marino Cassini avete già avuto modo di conoscerlo, è uno scrittore di fama di libri per ragazzi, ha condotto studi sulla storia e sui personaggi storici del nostro paese, insomma una persona colta che mette a disposizione i suoi lavori di ricerca solo con lo scopo della divulgazione, peccato che non sia mai stato interpellato per dare un contributo.
Di Marino Cassini
La caduta di un re.
Isolabona su Internet viene definita “il paese delle arpe” e si precisa che il toponimo deriva dall’unione di “insula”, un’isola circondata da due torrenti e dall’aggettivo “bona” per l'arte musicale che questo borgo rappresenta.
Mi sembrano affermazioni improprie in quanto il termine “bona” non ha alcuna attinenza con l’arte musicale e Isolabona non ha nessuna tradizione in fatto di arpe. Chissà che cosa potrebbe pensare un abitante di Piasco (CN), il paese che ospita una delle più importanti aziende di costruttori d’arpe nel mondo, di fronte a tale attribuzione!
Più giusto sarebbe stato affermare che Isolabona ospita una apprezzata manifestazione annuale che presenta ad un pubblico scelto, proveniente dalla costa ligure e dalla costa azzurra (da Imperia a Nizza) un festival con celebri artisti internazionali che dell’arpa hanno fatto il loro strumento preferito.
E Isolabona per il caratteristico borgo medievale, la presenza di un castello diruto (oggi restaurato dalla Provincia e dal Comune), offre il luogo ideale che fa da cornice ad uno spettacolo che esalta uno strumento musicale le cui origini affondano nella notte dei tempi e sono giunte sino a noi dai periodi biblici. Non vì è dubbio che l’intuizione del primo organizzatore abbia avuto un esito favorevole, tanto che si è oggi giunti alla tredicesima edizione e lo strumento, un tempo poco noto o addirittura sconosciuto nella cultura isolese, è oggi conosciuto da tutti.
Oltre al festival il paese ha legato la sua notorietà anche alla presenza di statue e pannelli, riproducenti persone intente a suonare l’arpa, posti nei punti più suggestivi e pittoreschi del borgo. Persino l’illuminazione della strada che va dall’inizio del paese al Santuario della Madonna ripete il motivo con tubi al neon a forma di arpa.
Ma se la manifestazione musicale, rinnovandosi annualmente, riscuote da tredici anni un successo, esaltato dai mass media, altrettanto non si può dire del “contorno visivo” formato dalle statue e dai pannelli posti in punti strategici.
Sono tutti opera di uno stesso scultore, che ha voluto conferire alla materia usata per scolpirli una patina bronzea che non ha retto al detto latino “aere perennius” in quanto sono presto comparse crepe, scrostature, scritte varie dovute ad atti vandalici di qualche sconsiderato che ha voluto apporre la “sua passione pittorica” imbrattando alcuni monumenti o peggio deteriorandone altri.
A questo si aggiunge la poca sensibilità del Comune, l‘indifferenza dei vari assessori alla cultura che si sono avvicendati nel tempo e l’incuria della manutenzione.
Ho davanti agli occhi due monumenti legati al tema delle arpe.
Uno si trova in una piazzetta, ai piedi del Monte Carmo, in riva al Rio Merdanzo, quel rio dallo strano nome che fu immortalato dalla penna e dal pennello di Antonio Rubino, illustratore del “Corriere dei Piccoli” e dalla penna di Italo Calvino che lo scelse come dimora “arborea” per Cosimo di Rondò, il protagonista del Barone Rampante.
Oggi la statua, un uomo sdraiato con un’arpa tra le braccia, è imbrattata dai soliti writers, scrostata dal tempo, mutilata in varie parti.
Ma la discesa verso il basso l’ha subita la statua più imponente, quella che fu posta all’ingresso del paese, la statua di Re David, assiso su uno scranno, dal volto pensoso, in posa ieratica, con un’arpa tra le mani, assorto in una muta melodia.
Oggi dov’è?
Ho ritrovato l’imponente (un tempo) statua di Re David dietro casa mia, in fondo ad un posteggio-auto, rivolta verso il mare, abbandonata a se stessa, negletta da tutti, con parti mancanti, qualche dito in meno, quelle dita che in tempi biblici pizzicarono le corde e fecero di lui uno tra i più noti maestri d’arpa dell’antichità.
Scrostata, con crepe e qualche accenno di muffa, la statua ha come compagnia fissa una macchina abbandonata, arrugginita, un rottame un tempo appartenuto alla Comunità Montana, immobile da anni, con le gomme flosce, un mucchio di ghiaia, una specie di toilette fissa per cani e gatti, e, poco distante, la presenza di un enorme capannone, una mega-palestra per un mini-paese, inutilizzabile per buona parte dell’anno.
Re David ha lo sguardo rivolto verso occidente, verso il punto dove il sole tramonta. Mi ha subito richiamato alla memoria un’altra celebre statua, quella presente nel suggestivo racconto di Oscar Wilde Il Principe felice e la sua rondine, il cui compito era stato quello di rendere felici i diseredati.
Re David , invece, è solo, solo con i suoi ricordi di terre lontane, di ampie distese desertiche dove combatté per il suo popolo. Forse pensa alla sfida con Golia, ai suoi amori, a Betsabea in particolare, per amore della quale commise il delitto di mandare a morte il marito ma poi si riscattò scrivendo quel salmo stupendo che è il Miserere.
Chissà se per questa sua caduta piange. Lacrime non ne ho mai visto. Se piange, forse lo fa al mattino, confondendo le lacrime con le gocce di rugiada. Così non se ne accorge nessuno.
Un re non può farsi vedere mentre piange.
E questa visione mi suggerisce solo un pensiero: “Isola, io così non ti vorrei”.
Di queste statue ne avevo già parlato qui, feci anche alcune fotografie, fu uno dei miei primi post.
il vostro pensiero è il mio, lo condivido in pieno! è vero, forse dovrebbero proprio cambiare da "Paese delle arpe" a "paese del festival delle arpe". chissà se chi potrà farlo leggerà questo post, oppure ascolterà tutti i mugugni della gente...
RispondiEliminasempre bravo M. Cassini...
hai ragione sei fortunata ma ti meriti questa attenzione! complimenti all'autore per il racconto
RispondiEliminaHo letto il bellissimo racconto di Marino Cassino, bravo come sempre. Vorrei dare un piccolo contributo che anticipa di molto nel tempo i rapporti che i lisurenchi (sbaglio o in italiano si dice isolenchi?) hanno avuto con l'arpa ed in particolare con il re Re David intento a suonarla. Ho letto, anche se purtroppo nella veloce visita che vi ho fatto mi è sfuggito, che nel santuario della Madonna delle Grazie in un affresco che credo sia stato attribuito al Cambiaso è dipinto un complicato "Albero della Vita" con ritratto del Re David nell'atto di suonare l'Arpa. Questo ovviamente posticiperebbe di molti secoli questo rapporto essendo il Cambiaso vissuto XV e XVI secolo.Con questo non voglio dire che si possa affermare che storicamnte Isolabona sia il paese delle arpe, ma che almeno storicamente le arpe non sono state assenti da Isolabona. Tuttavia penso sia giustificato oggi, alla luce del suo festival ormai arrivato alla 13 edizione, associare le arpe ad Isoabona così come si associa la canzona italiana a Sanremo. Ovviamente speriamo che per questo la notorietà di Isolabona si avvicini un po' a quella di questa città.
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